emen e Italia: due Paesi profondamente diversi, per storia e cultura, processi politici, sistemi di governo, strutture educative e modelli pedagogici. Murad Subay è nato e vive in Yemen, mentre Andrea Villa in Italia: oggi sono due giovani adulti che, nonostante le enormi differenze di percorso, esprimono le loro idee allo stesso modo, attraverso la street art, come reazione intellettuale e creativa alle difficoltà sociali, anche queste dissimili, dei due Paesi.
Lo Yemen – il paese più povero del Medio Oriente – è teatro di una guerra interminabile. L’ultimo scontro bellico, che si protrae dal 2015, è figlio di uno scenario cambiato tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando Ali Abdullah Saleh, il capo del Paese da oltre trent’anni, lasciò il potere in seguito alla cosiddetta «Primavera araba», che in Yemen fu guidata dai giovani yemeniti, a cui successivamente si unirono il gruppo Islah, all’interno del quale c’erano anche i Fratelli Musulmani yemeniti, e poi gli Houthi (gruppo sciita zaydita, frangia dello sciismo di cui fa parte circa il 35 per cento della popolazione musulmana yemenita), usati dall’ex presidente Saleh come testa di ponte per sedare dall’interno la rivoluzione. Saleh governava il Paese dal 1978, prima solo lo Yemen del Nord, e poi la Repubblica Unita dello Yemen dopo l’unificazione (maggio 1990). Il 21 settembre 2014, gli Houthi occuparono Sana’a: una invasione che loro definirono «rivoluzione», ma in realtà si trattava della miccia che fece esplodere poi la guerra nel 2015.
Una lenta e complicata transizione politica, sostenuta e modellata a piacimento dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, di cui fanno parte Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar, e Arabia Saudita, ha portato all’elezione di Abdel Rabbo Monsour Hadi, che diventò così il nuovo presidente. L’elezione di Hadi è stata riconosciuta dai paesi arabi e dall’Occidente.
Gli Stati Uniti cominciarono a collaborare subito con Hadi, con cui condividono due grandi avversari: Al-Qāʿida nel sud (dove ha trovato una nuova roccaforte dopo aver abbandonato l’Afghanistan) e i ribelli sciiti Houthi nel nord del Paese, sostenuti economicamente e logisticamente dall’Iran, tenuti a bada dal Presidente dimissionario con un’alleanza precaria successiva alla Rivoluzione, dopo decenni di guerre. Saleh quindi non lasciò mai davvero il potere, ma nel 2017 decise di assecondare il nuovo corso e avvicinarsi maggiormente all’Arabia Saudita, firmando così la sua condanna a morte. Fu ucciso proprio dagli Houthi nel dicembre del 2017. Gli arabi, vicini al nuovo presidente Hadi, considerano la loro sicurezza interna il motivo principale dell’intervento in Yemen, e per questa gli Houthi sono una grave minaccia. Il rafforzamento degli sciiti yemeniti potrebbe irrobustire la minoranza sciita che si trova nelle zone orientali dell’Arabia Saudita, e che continuamente cerca di ridimensionare il potere della monarchia sunnita.
Ciò che sta accadendo in Yemen non è uno scontro tra buoni e cattivi, ma un complicatissimo tentativo di difesa di interessi, da più parti, dove a farne le spese è la popolazione. Lo Yemen ha un disperato bisogno di pace. Oggi è in preda a un incubo umanitario, con epidemie di colera e difterite, fame e devastazione. Ma non solo: il futuro delle nuove generazioni yemenite passa anche attraverso la scuola e l’istruzione, oggi in crisi più che mai. In questo scenario Murad Subay è passato dall’essere un ragazzo schivo e solitario, a uomo determinato e coraggioso, che servendosi della sua arte cerca di riportare speranza negli occhi e nelle intenzioni dei suoi connazionali.